insegnaci ad amare la nostra pazzia

Du, lass dich nicht verhaerten in dieser harten Zeit- Du, lass dich nicht verbittern in dieser bitteren Zeit (Wolf Bierman) Che pretesa essere amati da adulti se non ti hanno mai amato da bambino (A Busi) Hvad man ikke har haft som barn, faar man aldrig nok siden af (Tove Ditlevsen) To live without hope, to work without love (Virginia Woolf)

Monday, January 15, 2007

PACS O NO PACS: non credere di avere dei diritti

Miss Brodie è contraria ai Pacs, e lo ha già detto su queste pagine, ma non per le ragioni che accomunano i leghisti come Calderoli e Borghezio ai margheritini come Rutelli e Binetti agli udiccini Volonté e Buttiglione per non dire dei virgulti aennini di Alleanza Giovani.
Miss Brodie è contraria all'idea di creare una specie di ingarbugliata legge che dovrebbe garantire alcuni diritti alle persone conviventi in coppie di fatto sia che alla base della relazione vi siano vincoli affettivi sia che vi siano altri motivi per cui due individui decidono di convivere.

Non è questa la strada per ampliare i diritti dei cittadini, e la Francia, da cui si è mutuato il termine e il concetto, è il paese meno adatto cui ispirarsi per la legislazione in oggetto visto che oltralpe non è un nuovo istituto giuridico, visto che molti sindaci si rifiutano di firmare il patto, visto che i diritti si acquisiscono dopo tre anni dalla stipula del patto, visto che tale patto può essere sciolto unilateralmente da uno dei partner con il solo obbligo di informativa (dell'avvenuta comunicazione di scioglimento in municipio) tramite raccomandata (senza avviso di ricevimento).

Ma non è di questo che vuole parlare la Miss. La Brodie si chiede - e si risponde da sola - perché sia le forze di destra sia le forze cattoliche si accaniscano così tanto contro la benché minima proposta di estendere alcuni diritti alle coppie conviventi, e gli evanescenti sedicenti di sinistra tengano loro bordone. E l'unica risposta convincente che riesce a darsi è che né le une né le altre riescono a tollerare l'idea che degli OMOSESSUALI, uomini più che donne, possano avere GLI STESSI DIRITTI DEGLI ALTRI CITTADINI. Questa è la grande questione nodale, questo è il grande equivoco che persino il democristiano-sul-pulmino-giallo-dalla-verginità-sempre-rifatta-e-mai-rotta non riesce a far passare sulle sue labbra e che quindi non menziona mai, sornionamente alludendovi solo se costretto per rimandare ad altra data.

La Chiesa dice le cose che dice, scontate e viete e immorali, contro cui l'indignazione non può nulla visto che sono indegne e andrebbero lasciate esclusivamente alla spazzatura che le ascolta e le accoglie così come vengono pronunciate da identica spazzatura, e la Miss non ci vede nulla di male, sente solo un gran fetore. Il problema non è dunque la Chiesa, ma gli italiani che in questo paese colonietta immonda lasciano che tutto accada come deve accadere visto che la coscienza civile non sanno dove sta di casa, e se una volta si potevano fare delle eccezioni per Piemonte e Lombardia oggi dalle Alpi al Salento è tutta solo un'unica gran sicilia, come aveva predetto Leonardo Sciascia ("La palma va a nord").

Sì, perché è di questo che si deve parlare, dei miti aborigeni dell'italica civiltà, degli italiani brava gente, non razzisti, non antisemiti, non omofobi. Bella roba, facile essere non razzisti in un paese che fino a poco tempo fa non aveva quasi minoranze etniche (e quelle che aveva le trattava peggio che un colonialista, non riconoscendole), facile essere non antisemiti, quando gli ebrei erano pochi e ben integrati nella società, facile ancora essere non omofobi, purché facciano le loro "sporcassade a casa loro veh !" e "che non si mettano in testa di volere dei diritti, neh !".

Gli omosessuali di questo paese poi fanno la loro parte, dato che a scuola dove la Miss insegna - a parte lei non se ne vedono, nei luoghi pubblici non se ne vedono tranne nei pochi casi dei militanti, in parlamento, nell'esercito, nella polizia, tra i carabinieri non ci sono. Eppure Miss Brodie li conosce, ci va o ci è andata a letto: poliziotti carabinieri pompieri (le divise sono una sua specialità) insospettabili insegnanti di educazione fisica padri di famiglia e anche nonni. Ma dove sono, chi li ha visti ? Per forza che gli italiani non sono omofobi, non ci sono gay in questo paese, stanno nei loro locali e nelle loro saune e nelle loro discoteche e nelle loro associazioni ! L'omofobia rispunta poi puntualissima solo nel momento in cui qualcuno, molto timidamente chiede per non dire implora di avere un sia pur minimo riconoscimento dal sardanapalema di turno anche solo per non sfigurare in classifica davanti a Grecia Irlanda Turchia e Bielorussia. Ma ai gay d'Italia che cosa importa ? L'unica cosa che conta è che possano muoversi liberamente da Sitges a Ibiza, da Mykonos a Maspalomas, e andare in qualche scopatojo in tutta libertà quando gli frizza il culo. Questi sono tutti i diritti che gli interessa di avere.

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Forse non tutti sanno che...o la vera giustizia

Forse non tutti sanno che all'Ospedale S.Carlo di Matera (Basilicata, Repubblica Italiana), struttura pubblica del Servizio Sanitario, non è in servizio nessun medico abortista, in quanto anche gli ultimi due assunti precisamente a tale scopo non appena superato il periodo di prova con contratto a tempo indeterminato hanno immediatamente firmato il modulo di obiezione di coscienza.

Forse non tutti sanno che in Basilicata non esistono ospedali pubblici che offrano il servizio di interruzione volontaria di gravidanza. Evidentemente la legge 194, così come molte altre leggi di questo strampalato paese, esiste solo sulla carta come dicono, in abstracto, puro flatus vocis. La donna che dovesse richiedere questo servizio viene dirottata presso strutture ospedaliere nelle regioni viciniore, visto che anche il servizio medico abortista navetta (una volta alla settimana arriva un medico da fuori a questo preciso scopo) è oberato dalle richieste e non riesce a farvi fronte.

Forse non tutti sanno che questa défaillance della legge all'italiana è della stessa natura di quella che ha portato il Tribunale di Roma a precisare nel caso di Piergiorgio Welby che, ancora una volta in teoria la Costituzione (! la suprema carta base di tutta la legislazione secondo la giurisprudenza italiana) garantisce il diritto del cittadino a disconoscere la competenza del proprio medico nell'esercizio della sua facoltà costituzionalmente garantita di rifiutare le cure anche vitali senza addurre nessuna ragione, ma nella pratica questo diritto non può essere esercitato perché manca la legge.

Forse non tutti sanno che recentemente (vedi il numero di Micromega di questo mese dedicato a Piergiorgio Welby) una donna che ha accompagnato il proprio marito in fin di vita a Amsterdam per poter avvalersi della legge sull'eutanasia vigente in quel paese, una volta tornata in questo paese si è vista accusata di omicidio di consenziente e costretta a patteggiare la pena di un anno di reclusione (su indicazione del proprio avvocato che le aveva prospettato, in caso contrario, il rischio di incorrere in una pena di sei anni di reclusione).

Forse non tutti sanno che questo è lo stesso paese in cui un insegnante di scuola superiore può minacciare e ricattare un supermercato, estorcere denaro, essere colto con le mani nel sacco dalla polizia, subire regolare processo, essere condannato a due anni di reclusione con la condizionale, non farsi neanche un giorno di carcere per l'indulto e ritornare in cattedra il giorno stesso dopo il processo.

Forse non tutti sanno che questo è lo stesso paese in cui una maestra accusata di concorso in rapina (otto rapine) con il proprio amante (recidivo, già pluricondannato per lo stesso reato, a piede libero per indulto) potrebbe tornare a scuola già dopodomani: il suo caso è all'esame del direttore della scuola (ohibò, ma che ne dovrebbe saper lui di procedura penale ?).

Forse non tutti sanno che esistono in questo paese figure istituzionali pronte a dire che l'individualismo va frenato e che il liberismo non rispetta i valori della società e che si può rispondere alle sfide del futuro solo tutti insieme blah blah blah (vedi intervista a Giuliano Amato sul Corriere della Sera di sabato scorso) nello stesso paese in cui ci sono persone con una pensione di 18.000 euri AL MESE e altre con 516 euro, gente che è andata in pensione a 38 anni e altri che ci andranno, se saranno ancora vivi e sempre se il pozzo senza fondo del sistema pensionistico pubblico sarà ancora in piedi, a 65, dove è tutto un gran parlare di "valori", della "società", del "bene comune" ma sempre e soltanto sulla pelle degli altri e mai sulla propria.

Questo è lo stesso paese dove solo chi ha conoscenze tra le forze dell'ordine può permettersi di dare in locazione un immobile: gli altri devono affidarsi alla benevolenza del caso ché se un inquilino dovesse mai decidere di non pagare la pigione o di non sgombrare l'alloggio allo scadere del contratto nulla e nessuno lo farà mai sloggiare visto che il parlamento stesso proroga da più di venti anni di sei mesi in sei mesi un decreto legge antisfratto. I giudici ? Loro usufruiscono di locali di servizio di proprietà di enti pubblici in zone di lusso e a metrature s p r e g i u d i c a t e (dai 150 mq in su, la media è di 200 mq) per i quali non pagano pigione o qualora la paghino si tratta di una cifra nominale irrisoria (150 euri al trimestre per esempio).

Forse non tutti sanno che questo è il paese in cui bisogna amaramente riconoscere che nessuno - se non appartiene alla schiera dei potenti e dei privilegiati - può permettersi il lusso di ripetere il dictum di quel mugnajo settecentesco della Marca Brandeburghese che, di fronte alla minaccia di un sopruso da parte del Re di Prussia Federico II che lo interrogava, rispose in faccia al suo sovrano: "Es gibt doch Richter in Berlin !" (A Berlino ci sono ben dei giudici !). Siamo più sudditi noi oggi, dugento anni dopo, qui, in questa sedicente Repubblica, di quanto non lo sia mai stato lui nella sua monarchia assoluta pre-illuministica.

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Saturday, January 13, 2007

J'avais la joie amère de me connaitre seul

Che cosa pensavi di provare quando credevi di amarlo ?

Provavo quello che provano tutti gli innamorati: mi sentivo il sangue scorrere nelle vene, e questa sensazione mi andava alla testa. L'aspetto bizzarro, tuttavia, è che per le persone normali questa fase entusiastica, irrazionale, di stordimento - propriamente chiamata infatuazione, innamoramento - dura solo all'inizio della relazione prima di trasformarsi col tempo in un sentimento più quieto di appagamento, quando non addirittura di torpore dei sensi. Nel mio caso invece l'ebbrezza ha continuato a essere una presenza vivificante della relazione, la sua caratteristica e la sua contraddizione (se era innamoramento continuo non poteva essere amore), mi toglieva il respiro ogni volta che pensavo a lui, ogni volta che il mio cuore si riconosceva nel suo, dandomi la sensazione di essere amato cercato desiderato.

Forse chi è abituato all'amore supera in fretta la prima fase, perché tutto sommato si aspetta di avere ciò che ha. A me tutto sembrava invece stra-ordinario, ogni cosa si illuminava di luce propria per la grazia che mi sembrava di aver ricevuto in sorte immeritatamente. Soltanto dopo ho capito che non era così, che non solo meritavo quell'amore ma anche molto di più, che ero io la persona straordinaria che dava nutrimento e calore a quel sentimento, che il mio valore intrinseco non abbisognava affatto di validazione esterna, e men che mai da parte di una figura del tutto normale, quasi pateticamente scialba e prosaica, che era rimasta abbagliata dalla mia luce straordinaria di cui io non avevo ancora all'epoca coscienza.

Ero stato da sempre, fin da bambino, stra-ordinario, ma non certo - o almeno non solo - per i miei talenti, linguistici, di cultura e di erudizione. No, la mia dote più grande - lo è ancora ? - era la capacità quasi illimitata di ascolto. Tutti - letteralmente, tutti - si mettevano a parlare con me, adulti e bambini, per raccontarmi i loro guaj, i loro drammi familiari di quieta disperazione, le loro devastazioni interiori, vittime sacrificali dei "valori" che avevano trasformato in idoli. Raccoglievo le confessioni di attempate maestre, le lamentele dei negozianti presso cui si serviva mia madre, i segreti, spesso scabrosi e quasi sempre legati al sesso, dei miei compagnetti o dei loro fratelli, delle loro sorelle, e a volte anche delle loro mamme. A volte, se mi trovavo per strada da solo, venivo chiamato da donne (per strada sempre e solo donne, mai uomini, chissà perché...) che mi rovesciavano addosso domande e inquietudini. Una volta mentre aspettavo nella sala d'attesa del medico di famiglia, varie pazienti iniziarono a farmi domande su mia madre e sui suoi acciacchi ma era solo un pretesto per dare la stura alle loro confessioni e divagazioni. Un'altra volta, quando vivevo a Copenhagen iniziai a discutere di Kierkegaard con due signore in attesa con me alla fermata dell'autobus (ricordo ancora dove: dietro la Marmorkirke) e rimediai un invito per un thè da una di loro. Da bambino nei soggiorni sulle alpi svizzere ero sempre richiestissimo da anziane matrone che mi adescavano con offerte di cioccolata a cui dovevo poi rispondere, costretto dal babbo, con biglietti di ringraziamento una volta tornato a casa.

Se rifletto, vedo bene che queste reazione dovevano essere suscitate da un mio atteggiamento interiore che veniva percepito da chi si avvicinava a me, e ha continuato a essere così fino a poco tempo fa, fino a quando cioè non ho incontrato amato e perso lui. Le vecchiette sul tram o su un vagone affollato del metrò - a Londra a Milano a Parigi - venivano immancabilmente a sedersi accanto a me oppure mi cercavano scrutando i volti dei passeggeri fino a quando non posavano i loro occhi su di me: quanti incontri, a volte emozionanti, quanti ricordi, quanti messaggi mi hanno lasciato, di molte di loro ricordo con esattezza il volto e le parole. Di un'altra donna, sublime e unica, incontrata in circostanze che possono solo dirsi poetiche, addirittura il cognome, Pignatta.

Dopo la fine dell'amore devo essere cambiato (è quello che mi hanno detto le colleghe quando sono tornato in Italia): il mio sguardo tradisce qualcos'altro, spesso deve brillare un lampo di odio nei miei occhi che incute addirittura timore e le allontana, se si azzardano smettono subito, quasi si rendessero conto di essere cadute in un equivoco.

Non conoscevo questo sentimento per me nuovo, l'odio, cosa più che ragionevole, non avendo mai fino allora conosciuto il suo volto complementare. Deve essere chiaro che trattasi dello stesso sentimento, basato sul concetto di carenza (carus, "caro", da carere, provare assenza, sentire la mancanza di). In amore la carenza si volge dall'interno verso l'esterno, riempio il mio vuoto tendendomi verso l'altro. Nell'odio la carenza è creata dall'altro che dall'esterno si muove verso il mio interno per portarsi via qualcosa di me, per appropriarsi di qualcosa che mi è intimamente prezioso. Soffre chi odia, non chi è odiato. Gode chi ama, non chi è amato.

Se ho imparato qualcosa dalla mia storia d'amore - strampalata, sconclusionata e misteriosamente bella - è che il proprio vuoto non va riempito; dobbiamo imparare a convivere con esso e a rispettarlo.

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Tuesday, January 09, 2007

morte e ideologia: la terra senza il male

Il can-can mediatico si è affievolito anche se in realtà sono passati solo pochi giorni dagli eventi che hanno catturato l'attenzione dei mezzi di comunicazione, e forse ora è bene fare qualche riflessione più pacata su tali avvenimenti.
Piergiorgio Welby se ne è andato come aveva desiderato, non volendo più restare attaccato al respiratore che lo manteneva in esistenza (visto che per lui non era vita), ajutato da una sedazione per non soffrire durante la fase di soffocamento (è così che è morto, occorre dirlo). Un medico anestesista si è offerto di adire alla sua richiesta dopo che il medico curante si era rifiutato di sospendere il trattamento come invece la legge esplicitamente prevede nel caso in cui il paziente ritiri il suo consenso alla terapia, a qualunque stadio (c'est à dire posso decidere di sottopormi a un'operazione e poi in sala operatoria dire "ho cambiato idea, portatemi via" e nessuna legge può imporre che l'operazione avvenga anche se preventivamente decisa e nemmeno nel caso in cui sia necessaria per salvare la vita).

Il fatto è che di morte - soprattutto in Italia - non si parla quasi mai e sono necessari questi casi eclatanti perché nasca un dibattito, dibattito che il più delle volte è inficiato dalle personali considerazioni ideologiche di chi vi prende parte. Sulla questione Welby si è visto soprattutto l'imperio della dittatura delle ideologie: se non va bene a me non deve essere permesso a te, per quanto tu lo desideri, per quanto possa essere una questione che riguarda te e soltanto te, la tua richiesta non ha senso perché se tu desideri una cosa simile vuol dire che sei fuori di te e fuori di senno e dunque io devo impediterlo, sei un pazzo ma siccome sei malato e evidentemente soffri non posso dirtelo a chiare lettere, anche se farò in modo che mai e poi mai tu possa concretizzare la tua richiesta, specialmente se sei incapace fisicamente se sei povero se sei solo.

Non si parla di morte e quando se ne parla in questo paese di gente (ché non di cittadini si tratta) fintamente cattolici cioè per niente religiosi ma solo pagani come sono sempre stati e infinitamente superstiziosi se ne fanno gli scongiuri: guai a parlare di funerali e di decisioni circa la propria morte e le proprie esequie. Fino a qualche anno fa la cremazione era addirittura tabù e pur essendo legislativamente possibile vi erano così tanti e tali ostacoli e difficoltà e cavilli burocratici che pochi riuscivano ad avvalersene, e ancora oggi - assurdo ma spesso la Miss dimentica di vivere in Italia - non è consentito ai familiari conservare le ceneri (devono essere lasciate in un urna cineraria al cimitero per la quale si deve pagare regolare affitto) o disporne come meglio ritengano, ad esempio disperdendole in un luogo deciso dal caro estinto. Non sia mai, le ceneri potrebbero inquinari i meravigliosi e purissimi mari fiumi laghi italici o peggio ancora le purissime vette di montagna o l'aria meravigliosa e pura di questo squallido paese malato, di inquinamento industriale, di cafoneria e di cialtroneria.

Passando poi a un'altra morte illustre qualche lettrice si stupirà forse della posizione Brodiana rispetto alla pena di morte. Miss Brodie è solo intellettualmente contraria alla pena capitale, per tutte le buone ragioni addotte da Beccaria in poi, che non è deterrente, che non ha la certezza del condannato, che non è educativa. Tutto vero, ma anche tutto inutile. Di uno come il signor Saddam Hussein il mondo non ha bisogno, anzi, peccato che sia stato sedato prima dell'esecuzione, non deve essersi reso granché conto di quanto stava avvenendo, a differenza delle sue vittime. Per il resto in questo la Miss segue il Talmud: la pena di morte è lecita solo se si è certi al 100% della colpevolezza dell'accusato, e siccome questa certezza al 100% non esiste quasi mai è da più di duemila anni che nel mondo ebraico non si eseguono più condanne capitali (con l'eccezione di Eichmann, 1968 primo e unico giustiziato in terra di Israele). Ma di per sé Miss Brodie non prova compunzione nel vedere i criminali eliminati dalla faccia della terra, sono sempre troppo pochi quelli che vengono fatti fuori, sempre troppe le loro vittime che non troveranno giustizia nel l'unico luogo in cui conti che trovino giustizia: qui sulla terra.

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Monday, January 08, 2007

cose così

Da fonte certa e verificabile Miss Brodie viene a sapere che, in un paese del Medio Oriente - la Miss non dirà quale - un cittadino straniero ha fatto richiesta di cittadinanza italiana presso la locale Ambasciata d'Italia (interessante che questa sia la denominazione, assolutamente non ufficiale visto che il nostro paese si chiama Repubblica Italiana), in quanto nato in Italia da padre cittadino italiano. Dopo qualche mese, non ricevendo risposta si è rivolto all'ambasciata per avere notizia della pratica: ebbene, il personale gli ha risposto che sono andati persi tutti i documenti presentati e che occori riproporre la domanda. Il cittadino - senza passaporto italiano ma cittadino a tutti gli effetti visto che è nato in Italia da padre italiano - si arma di pazienza e dopo vari mesi e con molta difficoltà riproduce tutti i documenti richiesti e ripresenta la domanda.
Trascorrono alcuni mesi e non avendo ricevuto informazioni in merito alla pratica si rifà di nuovo vivo in ambasciata. Questa volta un altro membro del personale gli dice che purtroppo sono andati di nuovo persi tutti i documenti. A questo punto il cittadino senza passaporto è disperato ma deve farsi animo e ricominciare da capo.

Avete capito che cosa c'è dietro ? La Miss non aveva capito, c'è voluto che la fonte da cui ha avuto queste informazioni le spiegasse l'inghippo: perché la pratica vada in porto, si badi bene, non per agevolarla o per velocizzarla, ma perché cominci - è sottinteso anche se il personale dell'ambasciata d'Italia non dice niente esplicitamente, che si "ungano le ruote" dei meccanismi arruginiti e cigolanti, certo, una bella mazzetta all'italiana, o alla siciliana, napoletana, calabrese, pugliese, romana se preferite.

Che cosa c'entra la Miss con tutto questo ? La Miss ha tradotto i documenti dalla lingua del richiedente in italiano, tutto qui.

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le mani sulla città

Durante questo tempo di crescita e di ritrovarsi che sono le vacanze scolastiche Miss Brodie ha avuto modo di scorrazzare per la sua città e di cogliere delle visioni che di solito le sfuggono. A parte qualche brillante scorcio e alcune magnifiche distese celesti che vedi solo in Lombardia, l'impressione tuttavia è stata desolante: è chiaro a chiunque che da almeno venti anni, ma forse di più, nessuna strategia urbanistica è stata adottata se non quella di fare cassa dando mano libera ai costruttori e a tutti gli imprenditori dell'effimero perché usassero la città come palcoscenico - davvero prestigioso - delle loro messeinscena giusto il tempo per cogliere il maggiore profitto possibile, pagare il prezzo più basso e sparire dalla circolazione per un po' prima di riaffacciarsi per cogliere "un'altra opportunità". Tutto ciò, beneinteso, a scapito della qualità di vita di chi in questa città deve vivere, di chi vuole farci crescere i figli, di chi ancora vuole lasciare un segno anche culturale.

Non è un segreto che almeno da venti anni il declino nel campo di praticamente tutte le arti - cinema, teatro, opera, musica sinfonica - ha visto Milano diventare un deserto culturale, aldilà di tutti i paroloni di cui si bea questo o quell'altro assessore vanaglorioso per ogni "evento" anche striminzito e comunque di nessun valore culturale se non in senso di operazione commerciale. Un mese con l'altro il piazzale antistante il magnifico edificio della Stazione Centrale, un simbolo se non IL simbolo per eccellenza in questo paese dell'architettura eclettica del primo novecento, viene trasformato in parterre per pubblicizzare vuoi un'automobile vuoi una ditta di dolciumi vuoi una stazione radio vuoi una rete televisiva. E' sempre sporco, lordo anche dopo il passaggio della nettezza urbana, per niente valorizzato e ridotto a luogo di bivacco insicuro e maleodorante.

Ma anche una passeggiata per il centro non solleva il morale. Via Dante, costruita a fine ottocento con intento scenografico per collegare a doppia quinta la grandiloquente Piazza Cordusio - nuovo autocelebrativo centro degli affari con i palazzi della Borsa (le odierne Poste), delle principali banche nazionali e della più grande ditta di assicurazioni europea (dell'epoca) - con la piazza del rinnovato Castello, antica sede del potere secolare autonomo cittadino e ora trasformato in luogo della memoria culturale della città, ospita bancarelle da sagra paesana, con il banchetto di dolci siciliani, cannoli e zucchero filato, banchi di sedicenti prodotti artigianali (cappellini, sciarpe, anelli e ciondoli) e il tutto a discapito dei valori architettonici e della prospettiva che uno potrebbe godersi nel percorrere il tratto fino a piazza Duomo, in un'ideale ma voluta contrapposizione con l'altro grande potere, storicamente, della città ambrosiana, il vescovo.

Dappertutto il servizio di nettezza urbana lascia a desiderare, l'impressione è di una città allo sbaraglio, che ancora per poco cerca di rimediare con una corsetta al grande distacco da cui la separano altre città, in Italia (Roma e Torino, solo per dirne due) per non dire all'estero, dove ormai il confronto non è più neppure con i paesi latinoamericani (avete visto Sao Paulo o Cali ?) ma con le città dell'Africa nera, Abidjan o Dakar.

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dire, fare, baciare

Gli credevi quando diceva di amarti ?

Sì, gli credevo, come in genere credevo a tutto ciò che mi diceva, come pure credevo alle persone intorno a me, a mio padre, a mia madre, ai miei amici. Avevo vissuto di libri, di romanzi, di storie dove i personaggi dicono ogni volta la stessa cosa, senza cambiare mai una virgola, basta trovare la pagina desiderata e controllare la citazione.
Così non ero abituato a chiedermi se le parole dovessero corrispondere alle azioni. Avevo trasformato la mia debolezza in una forza, la mia vulnerabilità - esposta, proclamata, conclamata - era il mio solo modo di sedurre, anche se io non lo sapevo, ingenuo nonostante l'ingegno.
L'errore, non solo mio ma di tutte le anime candide e veramente romantiche, era di credere che l'amore fosse gratuito, come nei romanzi. Nessuno mi aveva spiegato - e io lo avrei capito molto tempo dopo, da solo - che esiste un'economia di mercato dei sentimenti, che l'amore è una merce, una forma di capitale che va fatto fruttare, che si accresce con l'interesse, che si può perdere, che può essere usato e perso e guadagnato. Come il capitale, è dinamico, non statico, mutevole, cangiante, si estende, si restringe, si allea solo con altro capitale in un dare/avere che vede per forza uno sconfitto per ogni vincitore ("the penny in my pocket is there because it's not in yours" - Carlyle).
Dunque, nel casinò dei sentimenti le fiche dell'amore partecipano a un gioco a somma zero, il banco vince o perde, non va mai in pareggio. Se non si è certi di vincere e si è già perso molto, l'unica cosa da fare è non giocare. Ma i perdenti - è la psicologia dell'azzardo - non si arrendono quasi mai, e continuano a giocare, e a perdere: il banco dell'amore fa sempre credito, perché ha solo da guadagnarci...

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