insegnaci ad amare la nostra pazzia

Du, lass dich nicht verhaerten in dieser harten Zeit- Du, lass dich nicht verbittern in dieser bitteren Zeit (Wolf Bierman) Che pretesa essere amati da adulti se non ti hanno mai amato da bambino (A Busi) Hvad man ikke har haft som barn, faar man aldrig nok siden af (Tove Ditlevsen) To live without hope, to work without love (Virginia Woolf)

Thursday, September 27, 2007

Lettera a un giovane aspirante all'insegnamento

DEDICATO A TUTTE LE ALLIEVE CHE LA MISS HA, CHE HA AVUTO, CHE AVRA'

Un'antica (!) - si fa per dire - studenta brodiana si è deliziosamente fatta viva dopo molti anni (ohibò da chi avrà carpito l'indirizzo del ciberdiario della Miss ?) chiedendo alla Miss incoraggiamento per il suo ragazzo che aspira a intraprendere la professione dell'insegnamento delle lingue.

Miss Brodie prende lo spunto da questa gentile richiesta (ha già risposto in privato all'interessata) per fare qualche considerazione che spera non essere inattuale.

Essere dotati per le lingue è un'ottima cosa in sé stessa ma per quanto riguarda l'insegnamento non è di per sé un vantaggio: nelle università italiane le competenze strettamente linguistiche non giocano un ruolo preponderante (basti vedere quanti laureati in giapponese ci sono incapaci di tenere una conversazione in lingua senza tentennamenti esitazioni e con proprietà di lessico e di sintassi). Così non dovrebbe essere (vale a dire: non sei in grado di parlare correntemente la lingua in cui intendi laurearti ? Niente laurea. Ma chi glielo dice se molti docenti universitari sono loro stessi linguisticamente incompetenti ?), ma tant'è.

Per quanto riguarda la carriera professionale la trafila in Italia oggi è: tre anni di laurea breve, due anni di specialistica, due anni di SSIS (Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario) con diploma finale abilitante, immissione nelle graduatorie permanenti in attesa di un contratto a tempo indeterminato facendo a gara con altri insegnanti precari da anni con maggior punteggio anche se non necessariamente maggiori qualifiche (spesso hanno superato concorsi riservati di dubbio valore non avendo superato i concorsi ordinari di abilitazione).

Per le lingue straniere ci sono buone possibilità di ricevere incarichi annuali, soprattutto nella scuola media inferiore (Secondaria di 1° Grado nell'odierno burocratichese ministeriale) nelle regioni settentrionali del paese.

Si tratta di un percorso lungo e irto di ostacoli che la Riforma Moratti prevedeva di cambiare accorciandolo di due anni: la SSIS sarebbe stata abolita e la laurea specialistica ("Magistrale") avrebbe avuto valore abilitante per l'insegnamento. Con l'immissione in ruolo invece di un anno di prova ci sarebbero stati due anni a tempo determinato con contratto di formazione-lavoro prima di entrare definitivamente nei ruoli della pubblica amministrazione. Non è detto che fosse una buona proposta ma un percorso di sette anni come l'attuale per arrivare a uno status lavorativo precario e salarialmente poco gratificante è sicuramente antieconomico per i singoli e per lo Stato che ne finanzia la formazione.

Dopo una tale fatica in ambito accademico ne vale ancora la pena ? La risposta sincera e disinteressata della Brodie è no. E tuttavia per una certa categoria di persone, Miss Brodie inclusa, l'insegnamento è l'unica s c e l t a , non un ripiego, non un'opzione facile (la Miss ha proprio l'animo di una maestrina suo malgrado, mannaggia a lei !). Miss Brodie sente di poterlo dire avendo - a differenza di molti altri insegnanti se non della maggioranza - lavorato in altri campi, in società di ricerca, in uffici commerciali, e addirittura in un call-center abbastanza recentemente (voleva toccare con mano quel mondo per capire che cosa vuol dire lavorare oggi. E' la barbarie, forse peggio che andare a fare le pulizie, che una sua dignità e utilità le trova).

Le soddisfazioni dell'insegnamento sono uniche, come unico è questo mestiere: essere parte di un processo che porta alla crescita umana e culturale di una persona è assimilabile solo alla maternità, e chissà, forse anche per questo tra gli insegnanti numerosissime sono le donne, gli omosessuali e i preti. Avere contribuito all'apertura mentale, all'acquisizione di capacità critiche, aver fornito gli strumenti tecnici per imparare a imparare, queste sono gratificazioni che non si trovano in nessun'altra sfera professionale.

C'è inoltre un aspetto di coinvolgimento disinteressato, di voglia di fare con persone che anche se meno competenti si considerano degni interlocutori in un rapporto che per essere efficace non deve essere gerarchico e che anzi non può che essere paritario pur riconoscendo ciascuno le differenze dei rispettivi ruoli.

Tutto questo costa fatica, richiede dedizione, qualche volta anche spirito di sacrificio, e comporta spesso un senso di impotenza e numerose frustrazioni. Molte volte si sbaglia, altre volte ci si trova di fronte a situazioni mai affrontate prima, altre ancora si deve combattere con problemi difficilmente risolvibili se non addirittura irrisolvibili. L'esperienza e le doti umane del singolo docente non sempre sono sufficienti o all'altezza perché in questo lavoro si ha a che fare con individui che nella loro unicità e singolarità pongono sfide sempre nuove e diverse.

Oggi però l'insegnamento si va svuotando sempre più dei suoi aspetti pedagogici ("di accompagnamento dell'allievo") e formativi per ridursi a mera trasmissione di informazioni se non di nozioni. Anche nel passato poteva essere così, e chissà quanti insegnanti avrete incontrato che non avevano né passione né talento per questa professione (ma perché così tanti se la prendono solo con questa categoria professionale ? forse che tutti i macellai sono in gamba, tutti i meccanici sono dei maghi, tutti gli avvocati sono dei draghi di competenza e professionalità ?).

Che cosa dunque è cambiato, fondamentalmente ? In troppi parlano, e troppo spesso, dell'inettitudine degli insegnanti, mentre pochi osservano invece i cambiamenti in atto nella società. Quasi nessuno dei media si degna di riflettere sul cambiamento più importante avvenuto negli ultimi trent'anni nelle società occidentali e non solo in Italia. Sono cambiati gli allievi. Chi arriva oggi a scuola, fosse anche un piccolo scolaro delle elementari, vi arriva già carico di un insieme di informazioni e di strumenti per l'acquisizione di informazioni che non ha equivalenti con quelli del passato, che non è nemmeno lontanamente paragonabile con i tradizionali ruoli con cui finora docenti e discenti si sono confrontati.

La scuola, particolarmente in Italia ma non solo, è ancora più o meno la stessa istituzione quale essa si è configurata nel medioevo. La stragrande maggioranza degli insegnanti che vi operano - a differenza dei loro allievi - si è formata tramite ed è il risultato di processi consolidati nei secoli mentre gli allievi che continuano ad arrivare non hanno cognitivamente quasi nulla in comune con gli insegnanti quando questi avevano la loro età. Gli studi più recenti mostrano che anche neurologicamente si tratta di persone con stili cognitivi profondamente diversi.

Quale è dunque il nodo di contraddizioni che viene portato sempre più spesso alla ribalta e che non si riesce a sciogliere ? Questo mondo affoga in un profluvio di informazioni, ma informazione non è conoscenza. Le informazioni - un tempo si diceva nozioni - senza formazione non servono a niente, anzi portano alla confusione e al disorientamento.

L'odierna società dell'informazione chiede non persone formate ma personale addestrato e addestrabile ed è qui che la politica ha abdicato al suo compito in quasi tutte le società occidentali, anche in Italia. Molti degli scontri, delle difficoltà, delle sconfitte a cui va incontro un insegnante oggi nascono da questo nodo irrisolto, da questo conflitto tra chi vede nel proprio lavoro l'occasione di formare delle giovani menti attraverso l'acquisizione di competenze nelle singole discipline come modalità di disciplinare la propria capacità di ragionare e chi pensa invece alla scuola come al luogo della trasmissione di nozioni oggi ormai irrimediabilmente obsolete e obsolescenti per alimentare un mercato dell'occupazione sempre più in crisi che richiede poco più che carne da call center, da un lato, e dall'altro, giovani menti che non hanno più niente da plasmare, da formare, visto che si arrivano già confezionate con gli slogan al posto delle idee.

Allora, a fronte di uno stipendio che un laureato con master vedrebbe come punto di partenza per i primi sei mesi di un primo impiego e non come punto di arrivo dopo 15 anni di una carriera inesistente, a fronte di uno sgretolamento della stima sociale, a fronte di battaglie interne sia con i colleghi sia con il ministero, a fronte di un disprezzo palpabile da parte di allievi e di genitori, come può Miss Brodie indicare questa strada a un/a giovane d'oggi a meno che non abbia una pellaccia e la voglia di continuare ad andare controcorrente perché spera comunque di trovare in mezzo a tante teste piene di segatura, banalità, menefreghismo, doppiogiochismo e opportunismo, quella testa che lui/lei dovrà contribuire non a riempire di informazioni ormai facilmente disponibili in maniera strabordante, ma a formare, vale a dire ad attrezzare con la capacità critica di chi in quel mare di informazioni sa districarsi con abilità e maestria ?

La Miss può spiegare solo perché in questo mestiere continua a credere. In questo processo la cosa più bella è che alla fine chi riceverà di più, chi avrà imparato di più, chi si sarà arricchito di più sarà l'insegnante e non l'allievo. Un insegnante con i suoi allievi ha solo debiti, mai crediti. E questo miracolo non si compie in nessun altro lavoro che la Miss conosca.

E' poco, o forse moltissimo, ma per il momento le basta.

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splendide notizie

Oggi la Miss ha avuto una splendida notizia e del tutto inattesa visto che la diretta interessata non le aveva comunicato nemmeno l'ombra delle sue intenzioni: un'allieva brodiana è stata ammessa alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Evviva ! La prima normalista brodiana di una lunga serie si spera...

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Wednesday, September 12, 2007

Le ragazze del Simon Wiesenthal*

[*Non è questo il nome del liceo in cui professa la Miss, ma sicuramente le sue allieve ne coglieranno la somiglianza fonetica.]

La classe finale dell'anno scorso non c'è più e Miss Brodie ancora non si fa capace che non vedrà più i volti dell'una o dell'altra a cui si era ormai abituata che quasi li credeva perenni.
No, fortunatamente per loro, le sue allieve (il liceo della Miss è quasi al 90% femminile) hanno tutte superato l'ultimo scoglio del loro percorso scolastico e hanno preso altre vie, quelle che le porteranno ai quattro angoli della terra, non c'è dubbio.

Ora che non ci sono più Miss Brodie si chiede non solo che strade hanno intrapreso, ma anche che cosa avrebbe potuto o dovuto fare di più per rendere i loro giorni al Simon Wiesenthal più utili e più piacevoli. Non che non si sia sforzata di fare del suo meglio, ma a volte l'atmosfera di disagio era così palpabile e il suo senso di impotenza così vivo, che ha dovuto per forza segregare questi pensieri in un angolo bujo della propria mente per non farsene sopraffare.

C'erano ragazze molto sicure di sé, qualcuna addirittura spavalda, ma la maggior parte avevano tanto bisogno di incoraggiamento e di essere prese sul serio, da pari a pari. E invece... quanti, troppi insegnanti non facevano che sottolineare le loro mancanze.

Alcune erano quasi mute, anzi erano state silenziate al punto che non osavano esprimere una propria idea su un qualsiasi argomento, che fosse un sonetto scespiriano o un'analisi di una poesia di Dickinson. Erano imbarazzate dalle richieste della Miss di dare un'interpretazione personale di un testo letto e commentato in classe, quasi non si fidassero del loro stesso giudizio.

Chissà, Miss Brodie avrebbe dovuto fare di più per incoraggiarle, per spronarle a essere più forti, per incitarle a tenere testa a chi si arroga il diritto di giudicare una persona invece di limitarsi a valutare una prestazione, per altro molto limitata e di per se stessa di poco valore.

Forse avrebbe dovuto dire loro che la vita è piena di questi personaggi e che non devono lasciarsi influenzare dalle opinioni altrui perché hanno ancora tutta un'esistenza per scrivere pagine mai scritte della loro vita.

Ecco, tutto questo avrebbe voluto, avrebbe dovuto dirglielo, ma non ha trovato le parole, perché ha cercato che parlassero per lei gli autori della letteratura che ha provato a insegnare loro.

Care ragazze, sappiate che questo era lo scopo, non di farvi passare l'esame di Stato, ma di farvi vedere la bellezza dell'arte che nessuna scuola può insegnare.

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collegio dei docenti

Qualche giorno fa la Miss ha provato l'emozione di una delle esperienze indimenticabili per qualsiasi docente della scuola pubblica italiana, il collegio dei docenti. Come organo istituzionale il suo compito è di coordinare le azioni dei singoli insegnanti, di deliberare quelle poche cose che l'ordinamento scolastico lascia alla loro discrezionalità (divisione dell'anno in trimestri, quadrimestri o pentamestri, numero minimo di prove scritte e orali di valutazione, elezione di alcune figure con funzioni specifiche all'interno della scuola - Miss Brodie ad esempio coordina gli esami e relative iscrizioni per le certificazioni di lingua inglese) e di portare all'attenzione di tutte e tutti gli eventuali problemi o difficoltà. Non ha praticamente nessuna valenza didattica se non per quanto riguarda gli aspetti prettamente burocratici dell'insegnamento.

Nella pratica così come essa si è consolidata nella scuola italiana poi vi sono due tendenze, opposte tra di loro, che vedono qualcuno all'interno del gruppo dei docenti pronto a trasformare il collegio in un parlamentino, che dovrebbe discutere quindi di tutto in base a posizioni prettamente ideologiche. Di segno contrario ma altrettanto deleterio, la tendenza di molti, troppi dirigenti scolastici (il nuovo appellativo dei presidi nel burocratese in voga dagli anni '90) a rendere il collegio un "rubber-stamping parliament" un organo per dare l'approvazione - richiesta dalla normativa - a decisioni già prese dalla dirigenza e che non si vuole che vengano messe in discussione.

Per farla breve, quasi nessuno vuole partecipare ai collegi docenti. Non si vede che ruolo svolgano effettivamente, non se ne comprendono le ricadute positive, gli insegnanti li percepiscono come perdite di tempo (si tengono sempre fuori dall'orario di lezione, quindi al pomeriggio o alla sera, al mattino solo durante le vacanze scolastiche), le presidi come un organo di cui farebbero volentieri a meno se potessero e a cui chiedono praticamente carta bianca ogni volta che possono.

E' chiaro che non era questa l'idea quando i collegi vennero introdotti nella scuola italiana con i decreti delegati del 1973. Forse però, dopo così tanto tempo, sarebbe il caso di rivedere il loro ruolo e la loro funzione alla luce dei cambiamenti sia sociali al di fuori della scuola sia legislativi all'interno della scuola stessa.

Comunque, al secondo collegio dei docenti la preside si presenta, bianca come un cencio, dice due parole alla vicepreside ("collaboratrice vicaria" il termine ufficiale) e scompare. La maggior parte dei docenti non si è neanche resa conto della fugace apparizione, indaffarata come è a raccontarsi gli ultimi pettegolezzi o i resoconti delle lunghissime vacanze estive (attorno a Miss Brodie il vuoto, errore gravissimo, avrebbe dovuto sedersi in uno dei posti liberi tra le colleghe di latino e greco, perché ecco le si mette accanto il Franco Franchi della scuola, l'insegnante che nessuno vuole vicino perché è un torrente in piena, un aneddoto musicale dopo l'altro, e a nulla servono le suppliche della Miss, che lo implora, che gli spiega che non ascolta musica da anni, che gli dice che la musica è la massima quantità di rumore per il minimo contenuto di informazione. Franco Franchi va avanti imperterrito e si ferma solo quando, avendo la Miss infrasentito la parola "dio" nella foga travolgente di parole, approfitta subito della situazione e lo blocca con "There is no god". Fine dell'aneddotica: Franco Franchi è mooooolto cattolico e scrive sul locale bollettino parrocchiale). Qualche volta essere atei ajuta.

Tutti tirano un sospiro di sollievo all'annuncio che la preside non si sente bene e che il collegio sarà presieduto dalla collaboratrice vicaria. Gran bailamme, rumore di sottofondo continuo, quasi nessuno ascolta chi interviene. La Responsabile del Progetto Qualità (RPQ) presenta il risultato dei questionarij sul gradimento delle attività da lei svolte. La percentuale di gradimento è così bassa che ha deciso di dare le dimissioni. Silenzio totale. Si chiedono opinioni. Nessuno parla. Miss Brodie prende la parola per fare un intervento che le sembrava abbastanza sensato, ma nessuno la ascolta. Poco dopo, il fanatico di turno si alza e incomincia a sproloquiare sulla qualità. Evidentemente non è venuto a nessuno dei seminari organizzati dalla RPQ perché è chiaro che non ha assimilato nessuna delle linee fondanti del progetto, quando qualcuno cerca di farglielo capire, compresa la RPQ, si mette a urlare ancora più forte che è vero, lui non ha capito niente e ne è orgoglioso. Altri cercano di spiegargli che la sua interpretazione dei fatti non è proprio corretta, lui urla a livelli insopportabili di decibel "Fatemi parlare ! Lasciatemi parlare ! Ho il diritto di parlare ! Siamo in democrazia !" ma la cagnara è troppo forte e Miss Brodie decide di uscire a respirare un po' d'aria.

All'ingresso la Miss incontra due colleghe di lingue in pausa sigaretta. Una delle due le chiede se non è depressa dal ritorno a scuola. L'espressione sul volto della Miss deve essere di sorpresa e quasi sgomento oltre che di incomprensione, perché subito l'altra aggiunge: "Ma no, lo vedi, la scuola è la sua vita. Mica come noi che abbiamo una vita fuori da questo posto".

Ecco, questa missiva è scaturita da quelle poche parole. Miss Brodie non sa dire se sia felice che la scuola sia la sua vita o se esserne depressa. Perché è così, in questi giorni in cui è tornata a scuola si sente felice, crede che la sua vita abbia un senso, per quanto minuto e spesso anche contraddittorio, per quanto sappia che l'influenza di un'insegnante su un'allieva è vicina e tendente a zero, nonostante la frustrazione che prova ogni volta che il sistema scolastico umilia la didattica e perde di vista la pedagogia, insomma al di là di tutte le magagne, proprio non saprebbe che fare se non insegnare.

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