insegnaci ad amare la nostra pazzia

Du, lass dich nicht verhaerten in dieser harten Zeit- Du, lass dich nicht verbittern in dieser bitteren Zeit (Wolf Bierman) Che pretesa essere amati da adulti se non ti hanno mai amato da bambino (A Busi) Hvad man ikke har haft som barn, faar man aldrig nok siden af (Tove Ditlevsen) To live without hope, to work without love (Virginia Woolf)

Saturday, May 07, 2005

Traduzione e traduzioni

Stimolata dai piacevoli interventi di traduttore e aspiranti tali su a leitora (http://www.luxuslinguae.splinder.com) miss Brodie ha deciso di dire la sua, da traduttora fallita qual è, pur avendo avuto promettenti inizij ("miglior giovane traduttore", Expolangue, Ginevra 1989) stemperatisi in seguito nell'interpretariato (Chief Interpreter, Milan Lesbian and Gay Film Festival, 1995-2003).

La dialettica tra "bella infedele" e "brutta fedele" è antica quanto l'atto stesso di tradurre, cioè di trans- portare da una lingua all'altra un medesimo concetto/contenuto. L'italiano prende il termine dal latino transducere che non significa propriamente tradurre quanto prendere a sberleffi con le parole, ridurre in ridicolo. L'inglese, spesso più fedele agli etimi latini di quanto non lo siano le lingue romanze, mantiene questo significato nel termine traduce (attenzione, false friend, o incaute angliste in erba !) e riprende il termine latino transferre, trasportare [scilicet, da una lingua a un'altra] con translate [i dotti rinascimentali inglesi che crearono oltre l'80% del lessico neolatino dell'inglese moderno lo fecero, per i verbi, a partire dal supino, e non dall'infinito, come invece è avvenuto per via genetica nelle lingue romanze]. Il termine latino era un calco, [come spesso è avvenuto per le voci dotte di quel popolo di soldati, architetti e giuristi - di cui gli italiani sono indegni discendenti] del greco metaphorein (sounds familiar ? it is !), trasportare, appunto, che in italiano sopravvive solo in riferimento alle salme (translare).

Dunque, dopo questo nojoso excursus etimologico, che cosa dire della traduzione ? che è antica quanto la civiltà umana, che non necessariamente è verbale (pensate alla lingua dei segni usata dai sordi, o ai cartelli stradali , ai simboli matematici, alla notazione musicale: tutte forme di traduzione non verbale, non ve ne eravate accorte ?), che essendo umana è imperfetta quando non fallace e che resta fondamentale come veicolo delle idee oltre che della creazione di nuove parole in tutte le lingue del mondo. L'islandese, ad esempio, in una strenua difesa della propria identità germanica, si affanna a tradurre tutte le voci di origine greca e latina (il telefono è lontano-voce, la psicologia spirito-studio e così via discorrendo di calco in calco).

Senza la traduzione nessuna cultura è possibile, nemmeno quella primitiva, se per cultura intendiamo - come intende miss Brodie - lo scambio all'interno di un sistema di diversità. Niente diversità, niente scambio: niente scambio, niente cultura. Basti pensare alla Spagna pre-Reconquista, dove un fervido scambio multietnico multiculturale tra ebrei, cristiani e mussulmani vide fiorire una cultura ineguagliata per splendore bellezza e intensità, come in Sicilia, dove arabi, greci, latini e normanni poco dopo l'inizio del secondo millennio crearono una cultura squisita che la disgraziata isola non ha più conosciuto in seguito. Nell'era moderna possiamo pensare solo a New York e Parigi nel primo novecento, Berlino negli anni venti, Vienna da fine ottocento alla prima guerra mondiale. Babele di lingue, babele di idee.

La traduzione si collega anche agli aspetti magici e mistagogici della lingua, vista come veicolo di un discorso extraterreno sacro, cioè inviolabile (sacer, in latino). Ancora oggi gli ebrei pij non usano l'ebraico per fare discorsi profani e non leggono mai il testo sacro in traduzione, lo stesso dicasi per gli islamici di tutto il mondo che pregano tutti in arabo coranico, lingua totalmente ignota alla stragrande maggioranza dei mussulmani del mondo contemporaneo, lingua cristallizzata in forme fisse, non modificabili, perché sarebbe un'attentato alla sacralità del verbo divino. Così era pure per il latino, lingua sacra della Chiesa Cattolica Romana (a chi ama etimologizzare - come miss Brodie - non sfugge la contraddizione in termini, l'ossimoro insanabile tra cattolico=universale e romano=locale). Chissà quanti ricordano le battaglie della retroguardia clericale che vedeva la dismissione del latino quale inizio della dismissione del sacro: avevano ragione, senza gli abracadabra nessun mago è credibile.

La religione, antropologicamente parlando, altro non è che una forma di magia, dove alcuni iniziati, mantengono un potere sui "laici" (il volgo dei non-iniziati, laos in greco) tramite forme rituali con valore vuoi taumaturgico, vuoi apotropaico, vuoi scaramantico. E in questo caso ogni traduzione diventa non più un transferre, quanto un transducere, un farsi beffe, un attentato al potere. In effetti la traduzione mantiene la sua antica valenza di atto sovversivo contro i poteri dati e anche per questo la nascita, lo sviluppo e la diffusione dei volgari vanno di pari passo con la democratizzazione della società: in Italia ancora oggi esiste una discrasia tra lingua scritta e lingua parlata che non ha paragoni con le altre società occidentali avanzate: si continuano a scrivere orrori linguistici quali "andarono" o addirittura "mi recai" che nessuno usa parlando. Questa di-lessia è segno di dis-lessia logica e anche per questo miss Brodie trova impossibile e spesso disgustoso leggere la narrativa italiana, già povera di idee di suo, infarcita di retorica e per sovrammercato linguisticamente povera.

Dunque l'atto culturale più importante in Europa è non tanto l'invenzione dei caratteri a stampa mobili, quanto piuttosto la traduzione di Lutero della bibbia in volgare tedesco e la sublime apparizione della Authorised Version della bibbia in inglese all'inizio del seicento, monumento di incomparabile bellezza, punto fermo per chiunque ami la lingua albionica e voglia farne propria la dizione. Portare il Verbo, il Logos divino nell'ambito della parola profana accessibile a tutti/e ha permesso a quelle società lo sviluppo di un concetto di democrazia dove sono diffusi capillarmente e in tutti gli strati della popolazione il massimo rispetto per la parola e un uso articolato della lingua da far impallidire qualunque italiano medio.

Per concludere, ogni atto di traduzione è un andare oltre (trans) cioè un trans- gredire, fare un passo più in là di quello che gli altri (il potere costituito) vorrebbero concederci, se la traduzione è brutta o imperfetta, spesso lo è perché non si ha il dovuto rispetto per, oltre che la dovuta conoscenza della nostra madre(lingua).

BIBLIOGRAFIA DI PARTENZA

P Newmark, A Textboook of Translation

I testi sulla traduzione sono numerosissimi e la bibliografia praticamente sterminata. Miss Brodie è sicura che troverete la vostra strada tra la selva di pubblicazioni, anche in italiano, in cui vi avventurerete se solo iniziate una ricerca cibernautica. Il testo di Newmark ha il pregio di essere chiaro conciso e rigoroso a un tempo e miss b lo consiglia sempre anche agli/alle specialisti/e. Buon viaggio !

2 Comments:

At May 09, 2005 11:22 am, Blogger liseuse said...

MissB, com'è esaustiva lei!
mi domandavo: ma usa sempre il femminile plurale perché è stanca anche lei del maschilismo della grammatica italiana o per razzismo contro i poveri maschietti che leggono??!!
post molto interessante; certo che il mondo è traduzione: vogliamo parlare anche della traduzione intersemiotica, per esempio da libro a film? (ora scopiazzo dagli appunti di una conferenza di Eco che ho qui sotto :))
una cosa circa gli orrori linguistici: "andarono". Perché orrore? Premesso che io, da vera polentona, neppure so usare bene il passato remoto e ogni tanto esito prima di pronunciare (scrivere no) la forma verbale corretta, non credo che missB non abbia a che fare con persone oriunde meridionali che non solo non hanno problemi con "andarono", ma lo dicono anche riferiti a una settimana fa (mentre io direi - e scriverei!! - tranquillamente che Goethe è nato nel 1749)
Mi ha fatto ricordare una domanda che ho sentito due giorni fa a un seminario sulla traduzione, laddove una nota traduttrice dall'inglese, torinese, che sta co-traducendo un romanzo con una napoletana-americana, ha chiesto aiuto proprio sui tempi verbali dato che non riescono a trovare un accordo in merito :)

 
At May 13, 2005 4:41 pm, Blogger miss brodie said...

il problema dei tempi verbali per il momento non è risolvibile in quanto chi ha dimestichezza con la lingua scritta tuttora passando da un medium all'altro (lingua orale > lingua scritta) automaticamente e spesso inconsciamente assume registri stilistici differenti, per cui se una chiede, ma quando mai diresti "mi sono recato" subito si trova subissata da rassicurazioni che sì,anche se raramente, la parola è stata usata e bla bla bla... quanto alle differenze regionali, certo sono una componente essenziale della lingua e dlella cultura italiana, ma la lingua standard è una, e per quel che riguarda missB essa non contempla l'uso del preterito ma solo quello del perfetto, così come non conosce i dimostrativi costì, costà, costassù e costaggiù, che pure sono tuttora in uso vivo nell'aretino e in altre parlate centrali.

l'uso del femminile è in parte vezzo in parte tentativo cosciente di dimostrare che la dicotomia femminile/maschile, linguisticamente parlando, è una pura convenzione.

 

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