Essere senza destino
Dopo essersi barcamenata nel traffico come una pazza scriteriata in vena di una passeggiata nello smog, e aver rischiato di farsi sbattere in terra da almeno quattro autovetture e di prendersi sulla figura ben due sportelloni di furgone/camion, Miss Brodie è arrivata al suo punto internet abituale dopo un'assenza di una settimana. Quanto più bella è la vitareale di quella virtuale, che respiro poter leggere un testo e sottolinearlo con la matita, ritornarci più volte per meditarlo e farlo proprio, inserirlo in quello speciale archivio di cartelle cerebrali che sono le nostre sinapsi ! Indubbiamente la Miss non si convertirà mai al verbo elettronico, per quanto pratico e per quanto diffuso e di facile accesso: l'odore della carta e dell'inchiostro (Permanent Black di Parker o Blue-Black di Pelikan, grazie) restano brodianamente afrodisiaci.
Ma qui la Miss dirà due paroline sulla questione che in questi giorni ha avuto l'onore delle cronache per i suoi quindici minuti di fama televisuale. Ciò che Miss Brodie ha trovato strano in molte discussioni sul tema dell'eutanasia è stata l'assenza della parola morte. La morte era la grande assente esorcizzata da entrambe le fazioni. Bizzarro poi che alla richiesta di Piergiorgio Welby di porre fine alla sua esistenza (ché di questo si tratta, non di vita) qualcun altro abbia opposto il desiderio di un malato altrettanto terminale di continuare a vivere, quasi che si trattasse di una competizione. E per qualcuno dei commentatori di questo si trattava, dell'idea che qualcuno che desidera morire sia in fondo un debole, un infantile, un minus habens che deve essere protetto da se stesso e dalla propria debolezza (opinioni di prelati e beghine varie, paolebinetti comprese ma non sole). Quanto assurdo poi che qualcun altro, con lo zelo tipico del neofita o del converso, quale il signor Rutelli, abbia deprecato che in parlamento si discuta dell'argomento, come se, visto che possono sorgere opinioni contrarie alle sue proprie e magari non facilmente controvertibili, il modo migliore per avere comunque la partita vinta sia quello di non disputarla ma di farsi assegnare lo stesso il punteggio. E' l'ipocrisia che ha sempre la meglio, su questo come su altri argomenti sui quali una qualsiasi chiesa, non importa quale, anche se nel caso in oggetto si tratta di quella Romana, ha già detto la sua e stabilito quale deve essere l'opinione da tenere sul tema, da parte di chiunque, credente e non.
Tutte le chiese hanno bisogno di controllare i proprij fedeli, non è una novità, ma anche quelli più restii a razzolare nel gregge quando si tratta di morte diventano molto più "sheepish" e disposti a rientrare nei ranghi. Tutte le volte che si esalta un dio si umilia l'essere umano e la sua dignità, è dunque ovvio che se uno crede debba essere sottomesso alla "volontà divina". Che poi oggi, nel 2006, in un paese occidentale, dopo la rivoluzione francese, dopo la vittoria di certi principij liberali, ancora si debbano sentire vane e vacue argomentazioni sul diritto di dio o degli esseri umani, e sulla vita e chi l'ha data e altre stronzate simili da aule di catechismo e non di parlamento è qualcosa che sfida la ragione. Piuttosto, bisognerebbe studiare gli aspetti pratici della cosa: per esempio, chi inietterebbe il veleno nelle vene di Piergiorgio Welby, un suo caro o qualcun altro designato da chi ? O bisognerebbe fare in modo che lo faccia lui stesso ? E nel caso in cui un paziente abbia espresso tale desiderio e non sia poi in grado di provvedervi autonomamente chi si prenderebbe la responsabilità di portare a termine le sue volontà? Queste sono le questioni che le persone ragionevoli dovrebbero dibattere, nelle assemblee parlamentari e sulle pagine dei giornali. Gli altri discorsi si facciano in sacrestia e che lì restino.