Quest'anno saranno passati ben diciotto anni da quando la Miss si è trasferita nel Belpaese dalla sua amata Inghilterra. Non è certo perché è iniziato un nuovo anno da calendario che è il caso di mettersi a fare bilanci, ma è vero che tante delle considerazioni che Miss Brodie posta su questo ciberdiario hanno a che fare con le percezioni che lei ha di una società che, per quanto familiare, le resta essenzialmente estranea.
Che cosa lega i venti minuti (di sofferenza) passati poco fa in un ufficio postale con le proteste studentesche con il Comitato del Partito Radicale con la domanda che spesso viene rivolta alla Miss - "ma Lei perché resta in Italia ?" - ?
Il collegamento è il fatto che l'Italia è un paese antico anche se una nazione giovane e uno Stato - assente ? latitante ? inesistente ? fantasma ? - e che quindi la modernità, anche quando la investe, viene da essa fagocitata. Il nodo è questo, la relazione tra Italia e modernità.
La Miss non sa quanto tempo ci vorrà perché l'Italia diventi un paese moderno, forse non succederà mai, quasi certamente non durante l'esistenza brodiana. E non è detto che sia un male, chissà che la granitica antropologica resistenza alla modernità che segna le italiche genti non sia la ricetta per vivere alla quale guarderanno in futuro altri popoli, altri stati. Ma Miss Brodie ne dubita.
Dall' Italia sono passati quasi tutti, ma veramente quasi tutti, non è un'iperbole: il fatto è che mai sono venuti in numero sufficientemente grande da stravolgere non solo a livello socio-istituzionale gli aborigeni, ma anche da travolgere il patrimonio genetico-antropologico dei nativi. Se non si capisce questo fatto non si capisce niente di questo paese. Perché cambino le cose devono cambiare le coscienze, e le coscienze degli italiani non cambieranno mai.
Se si guarda alla cosiddetta Riforma Gelmini [e anche qui non si capisce, e dunque si capisce benissimo, c'è una questione linguistica: fino a solo pochi mesi fa con queste due parole ci si riferiva al riordino delle scuole secondarie di secondo grado, poi, com'è come non è, si sono utilizzati gli stessi termini per descrivere la riorganizzazione dell'università: misteri della fede ?] a parte la forse ovvia - o scontata ? ma perché in questo paese tutto deve essere scontato ? - considerazione che la stragrande maggioranza di chi protestava contro e di chi inneggiava a favore non aveva letto un rigo della legge in discussione, ci si deve arrendere all'evidenza che cambiare non si può. Sia perché la nuova legge ripristina per alcuni aspetti andazzi già esistenti in precedenza, sia perché i meccanismi da essa prescritti sono facilmente aggirabili.
Una cosa nuova però c'è, e questa sì è occasione perché la Miss si rallegri, si abolisce finalmente il concetto di ricercatore a vita. I ricercatori universitari in Italia non hanno MAI fatto veramente ricerca, era un termine che si usava impropriamente per denominare la fascia più bassa della carriera universitaria in un sistema che non premia i migliori ma solo gli anziani. Nessuno degli studenti in piazza è mai andato a dimostrare contro la vergogna di un sistema che permette che restino in servizio permanente a costi atrocemente alti docenti universitari che non hanno pubblicazioni dagli anni settanta, e ricercatori che non hanno pubblicato neanche un articolo su nessuna rivista seria a parte gli annali delle facoltà nelle quali latitano. Le università italiane pullulano di ricercatori - ma non solo, molti sono anche gli associati e gli ordinari - che sono entrati in ruolo senza dottorato e senza nessuna pubblicazione, monografia, articoli su riviste peer-reviewed, testi accettati da case editrici rinomate e solide.
Ma lo scandalo non sta qui, quanto nel numero di studenti italiani con dottorati presso prestigiose ed elitarie università straniere famose per il loro rigore, che hanno pubblicato non uno, non due, ma almeno una mezza dozzina di articoli, mongrafie e libri di testo e che non solo non sono riusciti a entrare nei ruoli dell'università italiana, ma quando si sono presentati ai concorsi sono stati dichiarati inidonei.
E qui c'è forse lo spazio per uno squarcio di vita personale della Miss. Quando si trasferì in Italia la bellezza di quasi diciotto anni fa, il suo titolo di laurea - conseguito presso una delle due più famose università britanniche - non le venne riconosciuto. Dovendo intraprendere nuovamente il percorso di studi si iscrisse a un corso diverso da quello in cui si era laureata. Arrivata al momento dell'esame di laurea, l'ordinario con cui dava la tesi le disse che era dispiaciuta di aver già promesso il posto a un altro laureando, e che se solo la Miss fosse arrivata un anno prima il posto sarebbe stato suo, per meriti evidenti. La Miss non se la prese più di tanto, aveva già visto che razza di ambiente era quello accademico italiano, ma nel tempo ha seguito da vicino la carriera del suo "rivale", che oggi è professore associato nella materia in cui si è laureata Miss Brodie. Ebbene, non solo non ha conseguito nessun dottorato, non solo non ha pubblicato nemmeno un articolo in una rivista peer-reviewed, non ha pubblicato neanche una monografia !
Come è diventato ricercatore grazie alla spinta giusta, così deve essere diventato associato.
La Miss traduceva l'anno scorso un testo del più famoso filosofo italiano vivente. Durante il lavoro di revisione condotto insieme a lui, il luminare in persona le ha chiesto: "Ma con la Sua preparazione perché Lei non insegna all'università ?". Che cosa rispondere se non che è una storia troppo lunga e arcinota ?
Dunque può darsi che la cosiddetta Riforma Gelmini non cambi proprio nulla se non in peggio, e sicuramente avrà tante pecche, e di certo non è la panacea per i mali di cui soffre il sistema universitario italiano, ma qualcosa di buono dal punto di vista della Brodie c'è: i cosiddetti ricercatori non potranno restare tali a vita, nel giro di sei anni dovranno dimostrare non solo di avere la stoffa o il potenziale per la ricerca e l'insegnamento ad alto livello, ma anche e soprattutto mettere sotto i riflettori il lavoro che hanno svolto e che determinerà se sono degni di diventare associati o se è meglio per gli studenti che cambino mestiere. Per poco che sia, nel suo piccolo è una rivoluzione e avvicina l'università italiana a tutte quelle realtà straniere dove è normale che chi inizia la carriera universitaria sia sottoposto a un continuo lavoro di verifica delle sue capacità sulla base di risultati concreti.
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