Lettera a un giovane aspirante all'insegnamento
DEDICATO A TUTTE LE ALLIEVE CHE LA MISS HA, CHE HA AVUTO, CHE AVRA'
Un'antica (!) - si fa per dire - studenta brodiana si è deliziosamente fatta viva dopo molti anni (ohibò da chi avrà carpito l'indirizzo del ciberdiario della Miss ?) chiedendo alla Miss incoraggiamento per il suo ragazzo che aspira a intraprendere la professione dell'insegnamento delle lingue.
Miss Brodie prende lo spunto da questa gentile richiesta (ha già risposto in privato all'interessata) per fare qualche considerazione che spera non essere inattuale.
Essere dotati per le lingue è un'ottima cosa in sé stessa ma per quanto riguarda l'insegnamento non è di per sé un vantaggio: nelle università italiane le competenze strettamente linguistiche non giocano un ruolo preponderante (basti vedere quanti laureati in giapponese ci sono incapaci di tenere una conversazione in lingua senza tentennamenti esitazioni e con proprietà di lessico e di sintassi). Così non dovrebbe essere (vale a dire: non sei in grado di parlare correntemente la lingua in cui intendi laurearti ? Niente laurea. Ma chi glielo dice se molti docenti universitari sono loro stessi linguisticamente incompetenti ?), ma tant'è.
Per quanto riguarda la carriera professionale la trafila in Italia oggi è: tre anni di laurea breve, due anni di specialistica, due anni di SSIS (Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario) con diploma finale abilitante, immissione nelle graduatorie permanenti in attesa di un contratto a tempo indeterminato facendo a gara con altri insegnanti precari da anni con maggior punteggio anche se non necessariamente maggiori qualifiche (spesso hanno superato concorsi riservati di dubbio valore non avendo superato i concorsi ordinari di abilitazione).
Per le lingue straniere ci sono buone possibilità di ricevere incarichi annuali, soprattutto nella scuola media inferiore (Secondaria di 1° Grado nell'odierno burocratichese ministeriale) nelle regioni settentrionali del paese.
Si tratta di un percorso lungo e irto di ostacoli che la Riforma Moratti prevedeva di cambiare accorciandolo di due anni: la SSIS sarebbe stata abolita e la laurea specialistica ("Magistrale") avrebbe avuto valore abilitante per l'insegnamento. Con l'immissione in ruolo invece di un anno di prova ci sarebbero stati due anni a tempo determinato con contratto di formazione-lavoro prima di entrare definitivamente nei ruoli della pubblica amministrazione. Non è detto che fosse una buona proposta ma un percorso di sette anni come l'attuale per arrivare a uno status lavorativo precario e salarialmente poco gratificante è sicuramente antieconomico per i singoli e per lo Stato che ne finanzia la formazione.
Dopo una tale fatica in ambito accademico ne vale ancora la pena ? La risposta sincera e disinteressata della Brodie è no. E tuttavia per una certa categoria di persone, Miss Brodie inclusa, l'insegnamento è l'unica s c e l t a , non un ripiego, non un'opzione facile (la Miss ha proprio l'animo di una maestrina suo malgrado, mannaggia a lei !). Miss Brodie sente di poterlo dire avendo - a differenza di molti altri insegnanti se non della maggioranza - lavorato in altri campi, in società di ricerca, in uffici commerciali, e addirittura in un call-center abbastanza recentemente (voleva toccare con mano quel mondo per capire che cosa vuol dire lavorare oggi. E' la barbarie, forse peggio che andare a fare le pulizie, che una sua dignità e utilità le trova).
Le soddisfazioni dell'insegnamento sono uniche, come unico è questo mestiere: essere parte di un processo che porta alla crescita umana e culturale di una persona è assimilabile solo alla maternità, e chissà, forse anche per questo tra gli insegnanti numerosissime sono le donne, gli omosessuali e i preti. Avere contribuito all'apertura mentale, all'acquisizione di capacità critiche, aver fornito gli strumenti tecnici per imparare a imparare, queste sono gratificazioni che non si trovano in nessun'altra sfera professionale.
C'è inoltre un aspetto di coinvolgimento disinteressato, di voglia di fare con persone che anche se meno competenti si considerano degni interlocutori in un rapporto che per essere efficace non deve essere gerarchico e che anzi non può che essere paritario pur riconoscendo ciascuno le differenze dei rispettivi ruoli.
Tutto questo costa fatica, richiede dedizione, qualche volta anche spirito di sacrificio, e comporta spesso un senso di impotenza e numerose frustrazioni. Molte volte si sbaglia, altre volte ci si trova di fronte a situazioni mai affrontate prima, altre ancora si deve combattere con problemi difficilmente risolvibili se non addirittura irrisolvibili. L'esperienza e le doti umane del singolo docente non sempre sono sufficienti o all'altezza perché in questo lavoro si ha a che fare con individui che nella loro unicità e singolarità pongono sfide sempre nuove e diverse.
Oggi però l'insegnamento si va svuotando sempre più dei suoi aspetti pedagogici ("di accompagnamento dell'allievo") e formativi per ridursi a mera trasmissione di informazioni se non di nozioni. Anche nel passato poteva essere così, e chissà quanti insegnanti avrete incontrato che non avevano né passione né talento per questa professione (ma perché così tanti se la prendono solo con questa categoria professionale ? forse che tutti i macellai sono in gamba, tutti i meccanici sono dei maghi, tutti gli avvocati sono dei draghi di competenza e professionalità ?).
Che cosa dunque è cambiato, fondamentalmente ? In troppi parlano, e troppo spesso, dell'inettitudine degli insegnanti, mentre pochi osservano invece i cambiamenti in atto nella società. Quasi nessuno dei media si degna di riflettere sul cambiamento più importante avvenuto negli ultimi trent'anni nelle società occidentali e non solo in Italia. Sono cambiati gli allievi. Chi arriva oggi a scuola, fosse anche un piccolo scolaro delle elementari, vi arriva già carico di un insieme di informazioni e di strumenti per l'acquisizione di informazioni che non ha equivalenti con quelli del passato, che non è nemmeno lontanamente paragonabile con i tradizionali ruoli con cui finora docenti e discenti si sono confrontati.
La scuola, particolarmente in Italia ma non solo, è ancora più o meno la stessa istituzione quale essa si è configurata nel medioevo. La stragrande maggioranza degli insegnanti che vi operano - a differenza dei loro allievi - si è formata tramite ed è il risultato di processi consolidati nei secoli mentre gli allievi che continuano ad arrivare non hanno cognitivamente quasi nulla in comune con gli insegnanti quando questi avevano la loro età. Gli studi più recenti mostrano che anche neurologicamente si tratta di persone con stili cognitivi profondamente diversi.
Quale è dunque il nodo di contraddizioni che viene portato sempre più spesso alla ribalta e che non si riesce a sciogliere ? Questo mondo affoga in un profluvio di informazioni, ma informazione non è conoscenza. Le informazioni - un tempo si diceva nozioni - senza formazione non servono a niente, anzi portano alla confusione e al disorientamento.
L'odierna società dell'informazione chiede non persone formate ma personale addestrato e addestrabile ed è qui che la politica ha abdicato al suo compito in quasi tutte le società occidentali, anche in Italia. Molti degli scontri, delle difficoltà, delle sconfitte a cui va incontro un insegnante oggi nascono da questo nodo irrisolto, da questo conflitto tra chi vede nel proprio lavoro l'occasione di formare delle giovani menti attraverso l'acquisizione di competenze nelle singole discipline come modalità di disciplinare la propria capacità di ragionare e chi pensa invece alla scuola come al luogo della trasmissione di nozioni oggi ormai irrimediabilmente obsolete e obsolescenti per alimentare un mercato dell'occupazione sempre più in crisi che richiede poco più che carne da call center, da un lato, e dall'altro, giovani menti che non hanno più niente da plasmare, da formare, visto che si arrivano già confezionate con gli slogan al posto delle idee.
Allora, a fronte di uno stipendio che un laureato con master vedrebbe come punto di partenza per i primi sei mesi di un primo impiego e non come punto di arrivo dopo 15 anni di una carriera inesistente, a fronte di uno sgretolamento della stima sociale, a fronte di battaglie interne sia con i colleghi sia con il ministero, a fronte di un disprezzo palpabile da parte di allievi e di genitori, come può Miss Brodie indicare questa strada a un/a giovane d'oggi a meno che non abbia una pellaccia e la voglia di continuare ad andare controcorrente perché spera comunque di trovare in mezzo a tante teste piene di segatura, banalità, menefreghismo, doppiogiochismo e opportunismo, quella testa che lui/lei dovrà contribuire non a riempire di informazioni ormai facilmente disponibili in maniera strabordante, ma a formare, vale a dire ad attrezzare con la capacità critica di chi in quel mare di informazioni sa districarsi con abilità e maestria ?
La Miss può spiegare solo perché in questo mestiere continua a credere. In questo processo la cosa più bella è che alla fine chi riceverà di più, chi avrà imparato di più, chi si sarà arricchito di più sarà l'insegnante e non l'allievo. Un insegnante con i suoi allievi ha solo debiti, mai crediti. E questo miracolo non si compie in nessun altro lavoro che la Miss conosca.
E' poco, o forse moltissimo, ma per il momento le basta.
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